mercoledì 17 aprile 2013

Il sindaco di Firenze vuole i minuti contati

L'orologio della torre di Arnolfo di Cambio a Firenze, quella di Palazzo Vecchio per intenderci, ha un orologio con una sola lancetta che segna le ore. Qualcuno ci avrà fatto caso: per sapere che ora è bisogna fare un piccolo sforzo e capire le mezzore ed i quarti d'ora attraverso la posizione della lancetta delle ore sul quadrante. Qualche ironia si può anche fare, ma l'orologio non ha perso i minuti per qualche strano mistero, è così dal Seicento.
Già nel 1353 (il 25 marzo) sulla torre di Palazzo Vecchio era stato installato un orologio meccanico, ad opera di Nicolò di Bernardo. Fu il primo orologio pubblico della città ma necessitava di frequenti correzioni utilizzando una meridiana posta all'esterno della torre, in un punto non visibile. Il meccanismo fu variato nel 1667 da Giorgio Lederle di Augusta ed è quello tutt'ora funzionante. Fu aggiunto un lungo pendolo sfruttando gli studi di Galileo Galilei sulle sue oscillazioni e sull'opportunità che il pendolo offriva per il funzionamento degli orologi.  Fu oggetto di restauro nella campagna 2002-2005 di lavori sull'intera torre campanaria ed è tornato in funzione dal 2008. 
Adesso il sindaco di Firenze, in una dichiarazione del 17 aprile 2013 durante una riunione in Comune, dice:
"io gradirei avere un'ipotesi di un orologio che segna l'ora. L'orologio che fa fare riflessioni filosofiche va bene ai fessi" "vi domando: ma vi costa parecchia fatica metterci un'altra stanghetta?" 
L'assessore alla cultura cerca di fargli capire: "quel meccanismo, che è settecentesco, prevede una sola lancetta ed un contrappeso. Se tu vuoi l'orologio come quello che abbiamo al polso tutti noi, devi cambiare il meccanismo..."
E lui: "e v'offendete parecchio se si trova uno sponsor privato" che cambi il meccanismo?
L'assessore: "Ma perché lo devi cambiare? è così bello quello..! Uno dice: che ore sono? l'una e diciassette; forse no, l'una e venti"
Il sindaco: "io mi fermerei di fronte all'ordinario di Estetica, ancor prima che Assessore alla Cultura" ma "non vi sto chiedendo di mettere l'orologio digitale della Casio. Vi sto chiedendo se si può mettere un orologio bello che funziona". 
Ed a qualcuno che propone di fare un opuscolo su come funziona l'orologio o una lezione sotto la torre, lui ironizza: "te sulla semplificazione amministrativa..eh?! Si fa l'opuscolo..!".

E' come se io proponessi di mettere l'orologio al quarzo ad una meridiana perché quando c'è nuvolo non segna l'ora...
Non è la prima uscita del genere: nel 2011 c'era stata la proposta di costruire la facciata michelangiolesca della Basilica di S.Lorenzo, mai realizzata; nel 2012 l'idea di pavimentare con il cotto Piazza della Signoria.

A colpi di rottamazione, si vuole rottamare pure un bene culturale per mere (e poco sensate) esigenze funzionali: i turisti non lo capiscono e pensano non funzioni, pare abbia affermato. I turisti leggeranno l'ora sullo smartphone, ho pensato io. E poi si vorrebbe cancellare una peculiarità per sostituirla con una banalità? Perché invece non valorizzare la singolarità di un orologio con una lancetta sola? Quanti di quei turisti proprio per quel motivo lo osservano e lo ammirano?

Meno male che il sindaco, durante le primarie del centrosinistra, puntava alla cultura ed alla vocazione italiana alla qualità. Ma è credibile da uno che vuole modificare un orologio seicentesco simbolo di Firenze solo perché non ha la lancetta dei minuti?  Lascio a voi la sentenza. 

L'orologio di Palazzo Vecchio (foto tratta da larivistaculturale.com)

martedì 9 aprile 2013

Un pezzo per volta

Il nostro patrimonio crolla un pezzo per volta; l'assenza della manutenzione preventiva e programmata come prassi è tra le principali cause. La mancanza, ovvero, di una serie di interventi "leggeri" sui beni architettonici (e su quelli artistici) che ci permettano allontanare temporalmente interventi più massicci, quali il restauro, il ripristino o la ricostruzione; interventi, quest'ultimi, che incidono maggiormente sulle tasche della committenza e che, soprattutto, si rendono necessari una volta raggiunto un avanzato degrado dell'opera, ovvero quando qualcosa che le apparteneva l'abbiamo sicuramente già perso.

"Il chiostro sta crollando un pezzo per volta e fra tre o quattro anni costituirà soltanto un tema di ricerca per gli studiosi di storia ecclesiastica". Così diceva Armando Siboni sul quotidiano Libertà di Piacenza nel 1979, parlando dei Chiostri della Chiesa di Santa Chiara ed è di quelli che qui voglio occuparmi. Nel 1985 Ersilio Fausto Fiorentini affermava: "La previsione (del Siboni, ndr), purtroppo, si sta avverando com'era fatale che fosse visto l'impossibilità dei Saveriani (l'istituto religioso che oggi regge la chiesa di Santa Chiara, ndr) d'intervenire per mancanza di mezzi. Quasi del tutto a terra è il lato nord verso la chiesa ma anche sui fronti ovest e sud la situazione è a dir poco grave: è stato sistemato, invece, il lato est dove ha sede il Pio Ritiro tuttora funzionante".
La prima pietra dell'attuale chiesa fu posta nel 1605, per cui si può pensare che i chiostri risalgano a quel periodo, anche se non è difficile supporre che possano riprendere un impianto precedente, risalente al XIII secolo, periodo in cui nell'area si costruì il convento dei Frati Minori.

Una vecchia foto del chiostro pubblicata sul volume Le chiese di Piacenza di E.F. Fiorentini, Edizione TEP Piacenza
Allo stato attuale la situazione è ovviamente molto peggiore. Poco resta di quello descritto dalla foto allegata. Le immagini da satellite permettono di guardare alla situazione attuale:

immagini tratte da mappe.Istella.it

Nelle seguenti immagini aeree si può osservare come il degrado sia avanzato nel tempo. Nel 1955 le strutture di copertura erano ancora in sito. Si può osservare la situazione nel 1988, descritta poco prima dal Fiorentini, fino a giungere a quella attuale.


Una sovrapposizione delle immagini permette una più immediata comprensione dell'avanzamento del degrado nel tempo: 

Immagine gif animata, cliccare se non è visibile il movimento.
L'area e lo stato in cui essa versa credo siano sconosciuti ai più, nonostante questa si trovi nel pieno centro della città di Piacenza. Credo sia impossibile accorgersi, praticamente solo passandoci vicino, del complesso in totale abbandono. Eppure l'area, in qualche misura, potrebbe essere recuperata. Prossimamente cercherò un modo possibile per osservare da vicino quel che resta del complesso, con la speranza di ottenere qualche fotografia dello stato dei luoghi. Intanto tutto questo serva da spunto per riflettere: come stiamo conservando il nostro patrimonio?
Questo è quello che può produrre la mancanza di manutenzione. Siamo consapevoli delle perdite che subiamo?
Ed intanto all'estero, con i nostri beni mobili in giacenza nei magazzini o negli angoli dei musei, organizzano mostre di grande successo...