martedì 18 giugno 2013

Se soffocano i pezzi della nostra Storia, stretti dalla morsa delle "catene"


Sono stato di recente a Verona, insieme a chi la città la conosce meglio di me. Mi piacciono le librerie, quelle alla vecchia, quelle in cui ti perdi ad osservare nei dettagli vecchi e fascinosi volumi. La libreria Ghelfi e Barbato è un'istituzione, da quello che capisco dalla descrizioni della mia compagna. Arrivati all'angolo tra via Mazzini e via della Scala, la libreria non esiste più. O meglio, permane la storica insegna. Dentro, invece, al posto dei libri ci sono costumi da bagno e completini intimi di una nota catena italiana. Oggi il turista che arriva legge l'insegna "Libreria" ma in vetrina trova mutande.


La storica libreria ora sede di un negozio di una catena di intimo. 

"Al suo interno la libreria offriva, oltre ai testi di narrativa più richiesti, una selezione di titoli ricercati e testi di pregio, dai libri d’arte ai libri di fotografia, a quelli di collezione. Il turista esperto del settore o il lettore appassionato giungeva da tutto il mondo a Verona per apprezzare la nostra offerta" racconta Stefano Grosso, titolare della libreria. La decisione della chiusura avvenuta a maggio - racconta il titolare - "è maturata in seguito ad una serie di difficoltà, causate principalmente dall’apertura di numerose nuove librerie, che hanno letteralmente saturato il mercato del libro. Sicuramente è stata determinante l’apertura delle librerie di catena, ma c’è da considerare un dato importante: nell’ultimo anno Verona è arrivata ad ospitare quasi 30 librerie, un numero decisamente alto per una città così piccola. Nel frattempo il prezzo degli affitti, che è letteralmente esploso, ci ha dato il colpo di grazia.
La libreria è comunque rinata dalle proprie ceneri in un contesto più svantaggiato, sia per posizione che per questioni logistiche. "Ci piacerebbe moltissimo riproporre quella selezione di qualità libraria che caratterizzava la Ghelfi e Barbato e sono sicuro che riusciremo a farlo, ma prima abbiamo bisogno di reinventarci" dice Stefano Grosso, oggi titolare della Libreria Grosso.

La libreria storica Ghelfi e Barbato, con a sinistra l'indicazione verso una libreria di catena.

Non a caso accanto alla libreria storica che ha appena chiuso, a 5 mt di distanza un cartello avverte della presenza, 10 mt a sinistra, di una famosa libreria di catena. Per carità, chi non c'è mai entrato scagli la prima pietra; ho grande rispetto per la storia di quell'Editore. Però non c'è dubbio - e chi è capace mi dimostri il contrario - che certe grandi catene siano dei nonluoghi. Come spiega Marc Augè, "se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi identitario, relazionale e storico definirà un nonluogo. L'ipotesi che qui sosteniamo è che la surmodernità è produttrice di nonluoghi antropologici e che, contrariamente alla modernità baudeleriana, non integra in sé i luoghi antichi: questi, repertoriati, classificati, promossi a «luoghi della memoria», vi occupano un posto circoscritto e specifico".
Bisogna riflettere sul soffocamento delle librerie storiche indipendenti e rendere noti a tutti i meccanismi con cui le piccole librerie acquistano con prezzi maggiori dai fornitori rispetto alle librerie di catena. Questo è uno dei tanti casi di librerie storiche italiane che sono state costrette alla chiusura e che sicuramente meriterebbero un commento, alla pari di questa. Cosa diversa accade in Francia, dove le librerie indipendenti godono di un sostegno finanziario da parte del governo e dove si va verso forme di garanzia nei confronti del prezzo unico del libro da parte di tutti gli attori della filiera. 

Se andrete nella libreria sulla sinistra, in più, avrete sicuramente un bistrot.

Fonti bibliografiche:
- Intervista a Stefano Grosso su Liberiamo.ithttp://www.libreriamo.it/a/2999/stefano-grosso-ho-chiuso-la-mia-libreria-in-centro-ma-la-storia-continua-.aspx
- Marc Augé, nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Ed. Elèuthera.

mercoledì 12 giugno 2013

Hai la bici? Prendi il treno! (ma armati di tanta pazienza...)

Questa pubblicità allegata, fatta in occasione di una campagna FIAB, dà un'immagine rose e fiori del funzionamento treno+bici offerto sui regionali di Trenitalia. In realtà non è proprio così. Di regola, il servizio trasporto bici è segnalato sull'orario ufficiale con il simboletto raffigurante una bicicletta. Praticamente ormai il servizio è segnalato su tutti i treni regionali. Ma, ovviamente, capita spesso di non trovare effettivamente il vagone adibito al trasporto... Ed a volte ti spacciano per vagone una parte della motrice con una porticina che puoi raggiungere solo dopo tre alti scalini, che pure se fossi con le mani libere sarebbe un po' difficile salirci. Altre volte il vagone non c'è proprio e devi arrangiarti. 
Inoltre, non è garantito dove l'ambìto vagone è situato... può essere in testa come in coda... adesso capirete bene che non è proprio la stessa cosa. Pensate di essere nella stazione di Bologna o di Roma (per citarne alcune tra le più frequentate): banchine affollate dalla gente che aspetta il tuo treno, che aspetta quello del binario accanto e che poi sarà occupata anche dalla gente che scenderà. Dove sarà il vagone per le bici? Che si fa, si aspetta in mezzo? No, magari rischio e vado in testa... Il treno arriva, no! E' in coda! E fatti tuoi poi percorrere, con una bicicletta, la banchina ora affollata anche dalla gente che scende, mentre i passeggeri in salita fanno capannello vicino alle porte. Ma può pure succedere che, una volta percorsi tutti i vagoni (ed i treni regionali non sono corti), scopri che il vagone per le bici non esiste. Eppure il supplemento bici l'ho pagato; e non è rimborsabile. E' una situazione accettabile, questa, in un Paese da definirsi civile? Aggiungiamo anche questa figuraccia agli occhi dei turisti che, soprattutto nel nord Italia, arrivano dal centro-europa in bici e cercano di utilizzare il servizio.
Io ho provato a percorrere su tre regionali il percorso Udine-Piacenza: 1° treno Udine-Venezia Mestre, il servizio non c'è (solo un piccolo spazio sul locomotore, quello di cui sopra da arrampicarcisi); 2° treno Venezia Mestre - Bologna, il servizio c'è (fortuna!); 3° treno Bologna-Piacenza, il servizio non c'è (neppure arrampicandosi in cima al locomotore).
Potremmo essere il Paese più bello al mondo. Ma non lo siamo, perdiamo sul campo della civiltà. Salviamolo!



sabato 1 giugno 2013

Il coraggio di dire no. Lezione di Vittorio Sgarbi.

Uno Sgarbi condivisibile quasi al 100%. A parte la provocazione dell'inglobamento del Ministero per i Beni e le Attività Culturali nel Ministero dell'Economia, non concordo totalmente sulla ricostruzione "dov'era, com'era" da lui professata. Ma capisco benissimo l'orrore di certe scelte scellerate del "dov'era ma non com'era"; sostengo la distinguibilità ma sono consapevole di come l'Architettura contemporanea sia ormai totalmente incapace di dialogare con i centri storici. E nella scelta, tra le due realtà, forse penderei anche io verso quella da lui sostenuta. Almeno un po'. Per cui ritengo questo discorso di Vittorio Sgarbi davvero notevole e perfetto per l'idea con cui è nato questo blog! Da ascoltare!